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giovedì 9 maggio 2013

Peggio dell'anno scorso: democrazia e interessi alla vichese


Le elezioni si vincono a fine mandato e non a fine scrutinio. Questo non è stato capito da chiunque si presenti ad affrontare una campagna elettorale. Il rinnovamento non è solo presentare facce nuove ma un progetto di diversità di metodi e idee che possa avere la maggioranza dei consensi e una volta ottenuta sia possibile realizzare con le capacità degli eletti. Questo progetto inoltre deve convincere la maggioranza degli elettori altrimenti rimangono solo parole di facciata. In democrazia gli interessi devono convergere, così come anche le aspirazioni, le ansie e le speranze della maggioranza. Se il rinnovamento non è realizzabile allora siamo di fronte alla pessima controfigura della restaurazione perenne.
Ripropongo l'opinione pubblicata su Fuoriporta nel numero di marzo dell'anno scorso


Come dice il costituzionalista Michele Ainis: “la democrazia è un animale che si regge su tre gambe”.
La prima è la democrazia diretta, dove i cittadini decido direttamente delle questioni di rilevanza pubblica, attraverso strumenti come il referendum.
La seconda è quella rappresentativa, dove i cittadini attraverso le elezioni scelgono dei rappresentati a cui si delega l’esercizio della gestione della cosa pubblica.
La terza  è la democrazia partecipativa, dove il cittadino si associa per concorrere alla politica.
Ogni forma ha contenuti che si intrecciano con le altre, ed il modo con cui vengono  regolamentate ed esercitate sono segno della forza e della qualità della democrazia stessa.
Parlare della democrazia non è un’ impresa semplice. Farsi capire è ancora più arduo, in quanto questa parola è denotata di parecchi significati e recepita in maniera soggettiva.
Quello che interessa al lettore di questo giornale è principalmente la dimensione locale, quindi si tenta di contestualizzare il concetto alla dimensione vichese, in questo tempo di elezioni comunali.
Analizzando il processo della formazione delle liste elettorali non si evince, a mio parere, nessun coinvolgimento della cittadinanza in una discussione ampia sulla formazione di un agenda politica sostenuta da contenuti armonici ed omogenei  che seguono il filo logico di un pensiero politico condiviso.
Insomma la formazione delle liste è ridotta ad una discussione intima tra poche persone, all’interno di quattro mura che saranno le uniche a sentire veramente i termini degli accordi elettorali.
Il processo di formazione delle liste, cioè della formazione della democrazia partecipativa, non è di poco conto visto che questa è direttamente connessa alla selezione dei rappresentanti del popolo che dovranno prendere decisioni per esso.
Limitare la democrazia alla sola scelta elettorale non è solo segno di decadimento del significato stesso del “potere del popolo” ma d’ inefficienza dell’amministrazione, in questo caso comunale, di perseguire l’interesse generale, che è ben diverso dall’interesse pubblico  e ancor più dall’interesse collettivo e privato.
Quest’ultimo è l’interesse di ogni singolo soggetto che utilizza beni, come meglio crede, per raggiungere uno scopo personale. L’interesse collettivo invece non è l’interesse privato di ciascuno dei componenti di un gruppo  ma l’interesse di più persone che appartengono ad una certa categoria, anche molto vasta. Con questa espressione non si designa tanto una specie di interesse, quanto il mezzo per soddisfarlo, il quale è costituito dalla riunione e dalla cooperazione di tutti coloro che ne sono portatori. È un interesse che riguarda solo una parte della società.
L’interesse generale è l’interesse di tutti, cioè di ogni individuo non come singolo o membro di una categoria, ma come membro del pubblico, della società nel suo complesso.
La somma degli interessi collettivi non è l’interesse generale. Questa è una visione particolaristica della generalità della società, che si traduce in una battaglia a colpi di consenso per ottenere, dal tutto, parti sempre più consistenti per il proprio collettivo. Tradotto in termini elettorali, la lista sarà composta da persone che si presume possano essere  capaci di attirare voti sulle promesse di sostenere gli interessi di particolari collettivi e saranno riconfermate per la prossima corsa elettorale solo se avranno perseguito l’interesse della singola collettività e non l’interesse generale.
Questo meccanismo, più culturale che altro, si può inceppare solo se alla discussione politica è invitata tutta la comunità.  La partecipazione va costruita con il tempo e con immensa pazienza, elementi che  sono necessari per far convogliare una moltitudine di pensieri in un unico progetto d’azione. Certamente la partecipazione  non è un semplice ritrovarsi ed assentire su questioni astratte a poche settimane dal voto. Questa non è partecipazione ma campagna elettorale.
A questo punto la formazione della classe politica equivale a decidere quali interessi devono essere elevati ad interessi pubblici. Esso si distingue da tutti gli altri interessi perché è stato incorporato in una norma o in una misura politica. Non è tanto il suo contenuto che viene in rilievo, quanto il fatto che esso sia stato cristallizzato in una determinazione dei poteri pubblici. All’interno dei poteri pubblici comunali, coloro che sono abilitati a convertire un certo interesse in un interesse pubblico sono il sindaco e i consiglieri e ciò spiega perché certi interessi collettivi, ma non generali, siano eretti a interessi pubblici: è sufficiente che un certo gruppo sociale, numericamente maggioritario, voti compatto per  eleggere una maggioranza comunale e un sindaco che adotti politiche e misure conformi all’interesse collettivo del gruppo.
Con queste comunali forse si vedranno persone competenti con idee brillanti  ma in fondo non è cambiato niente, per il semplice fatto che la popolazione viene mobilita solo alla vigilia del voto, come se ognuno di noi non fosse cittadino/a ma solo elettore o elettrice. 




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