Le elezioni si vincono a fine mandato e non a fine scrutinio. Questo non è stato capito da chiunque si presenti ad affrontare una campagna elettorale. Il rinnovamento non è solo presentare facce nuove ma un progetto di diversità di metodi e idee che possa avere la maggioranza dei consensi e una volta ottenuta sia possibile realizzare con le capacità degli eletti. Questo progetto inoltre deve convincere la maggioranza degli elettori altrimenti rimangono solo parole di facciata. In democrazia gli interessi devono convergere, così come anche le aspirazioni, le ansie e le speranze della maggioranza. Se il rinnovamento non è realizzabile allora siamo di fronte alla pessima controfigura della restaurazione perenne.
Ripropongo l'opinione pubblicata su Fuoriporta nel numero di marzo dell'anno scorso
Ripropongo l'opinione pubblicata su Fuoriporta nel numero di marzo dell'anno scorso
Come dice il costituzionalista Michele Ainis: “la democrazia
è un animale che si regge su tre gambe”.
La prima è la democrazia diretta, dove i cittadini
decido direttamente delle questioni di rilevanza pubblica, attraverso strumenti
come il referendum.
La seconda è quella rappresentativa, dove i cittadini
attraverso le elezioni scelgono dei rappresentati a cui si delega l’esercizio
della gestione della cosa pubblica.
La terza è la
democrazia partecipativa, dove il cittadino si associa per concorrere alla
politica.
Ogni forma ha contenuti che si intrecciano con le altre, ed il
modo con cui vengono regolamentate ed
esercitate sono segno della forza e della qualità della democrazia stessa.
Parlare della democrazia non è un’ impresa semplice. Farsi
capire è ancora più arduo, in quanto questa parola è denotata di parecchi
significati e recepita in maniera soggettiva.
Quello che interessa al lettore di questo giornale è
principalmente la dimensione locale, quindi si tenta di contestualizzare il
concetto alla dimensione vichese, in questo tempo di elezioni comunali.
Analizzando il processo della formazione delle liste
elettorali non si evince, a mio parere, nessun coinvolgimento della
cittadinanza in una discussione ampia sulla formazione di un agenda politica
sostenuta da contenuti armonici ed omogenei che seguono il filo logico di un pensiero
politico condiviso.
Insomma la formazione delle liste è ridotta ad una
discussione intima tra poche persone, all’interno di quattro mura che saranno
le uniche a sentire veramente i termini degli accordi elettorali.
Il processo di formazione delle liste, cioè della formazione
della democrazia partecipativa, non è di poco conto visto che questa è
direttamente connessa alla selezione dei rappresentanti del popolo che dovranno
prendere decisioni per esso.
Limitare la democrazia alla sola scelta elettorale non è
solo segno di decadimento del significato stesso del “potere del popolo” ma d’
inefficienza dell’amministrazione, in questo caso comunale, di perseguire
l’interesse generale, che è ben diverso dall’interesse pubblico e ancor più dall’interesse collettivo e
privato.
Quest’ultimo è l’interesse di ogni singolo soggetto che
utilizza beni, come meglio crede, per raggiungere uno scopo personale.
L’interesse collettivo invece non è l’interesse privato di ciascuno dei
componenti di un gruppo ma l’interesse
di più persone che appartengono ad una certa categoria, anche molto vasta. Con
questa espressione non si designa tanto una specie di interesse, quanto il
mezzo per soddisfarlo, il quale è costituito dalla riunione e dalla
cooperazione di tutti coloro che ne sono portatori. È un interesse che riguarda
solo una parte della società.
L’interesse generale è l’interesse di tutti, cioè di ogni
individuo non come singolo o membro di una categoria, ma come membro del
pubblico, della società nel suo complesso.
La somma degli interessi collettivi non è l’interesse
generale. Questa è una visione particolaristica della generalità della società,
che si traduce in una battaglia a colpi di consenso per ottenere, dal tutto,
parti sempre più consistenti per il proprio collettivo. Tradotto in termini
elettorali, la lista sarà composta da persone che si presume possano essere capaci di attirare voti sulle promesse di
sostenere gli interessi di particolari collettivi e saranno riconfermate per la
prossima corsa elettorale solo se avranno perseguito l’interesse della singola
collettività e non l’interesse generale.
Questo meccanismo, più culturale che altro, si può inceppare
solo se alla discussione politica è invitata tutta la comunità. La partecipazione va costruita con il tempo e
con immensa pazienza, elementi che sono
necessari per far convogliare una moltitudine di pensieri in un unico progetto
d’azione. Certamente la partecipazione non
è un semplice ritrovarsi ed assentire su questioni astratte a poche settimane
dal voto. Questa non è partecipazione ma campagna elettorale.
A questo punto la formazione della classe politica equivale
a decidere quali interessi devono essere elevati ad interessi pubblici. Esso si
distingue da tutti gli altri interessi perché è stato incorporato in una norma
o in una misura politica. Non è tanto il suo contenuto che viene in rilievo,
quanto il fatto che esso sia stato cristallizzato in una determinazione dei
poteri pubblici. All’interno dei poteri pubblici comunali, coloro che sono
abilitati a convertire un certo interesse in un interesse pubblico sono il
sindaco e i consiglieri e ciò spiega perché certi interessi collettivi, ma non
generali, siano eretti a interessi pubblici: è sufficiente che un certo gruppo
sociale, numericamente maggioritario, voti compatto per eleggere una maggioranza comunale e un
sindaco che adotti politiche e misure conformi all’interesse collettivo del
gruppo.
Con queste comunali forse si vedranno persone competenti con
idee brillanti ma in fondo non è
cambiato niente, per il semplice fatto che la popolazione viene mobilita solo
alla vigilia del voto, come se ognuno di noi non fosse cittadino/a ma solo
elettore o elettrice.
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