Il suolo è una risorsa vitale,
rinnovabile solo a lungo termine, la cui corretta gestione è basilare per
garantire il nostro benessere senza compromettere la capacità delle generazioni
future di soddisfare i propri bisogni.
Eppure troppo spesso il suolo viene
trattato come un mezzo da sfruttare con una scarsa consapevolezza degli effetti
derivanti dalla perdita delle sue funzioni.
Esplicativa
in tal senso è la situazione urbanistica italiana. A partire principalmente dal
secondo dopoguerra le aree urbane si sono espanse secondo criteri guidati
spesso più da interessi particolari che da processi programmatici che tenessero
in debita considerazione la vocazione naturale del territorio e dei suoli. Sono
stati asportati, o modificati per sempre, suoli ad elevata fertilità e
vocazione agricola( la quota di suolo agricolo che ogni anno viene destinata
all'urbanizzazione è di oltre 100 Kmq all'anno, il che significa 30 ettari al
giorno, 200 mq al minuto) in alcuni casi ubicati in aree ad elevata
pericolosità geologica e idraulica.
L’urbanizzazione comporta la rimozione
totale del suolo oppure un suo decorticamento e successiva copertura con
materiali impermeabili come calcestruzzo, metallo, vetro, catrame e plastica,
per la costruzione di edifici, strade o altri usi ( Impermeabilizzazione del
suolo o Soil Sealing; ). Il suolo è perso oppure non è più in grado di
esplicare le sue funzioni (Consumo di suolo), in particolare viene impedita la
sua capacità di regolare i flussi idrici con serie conseguenze sui fenomeni
alluvionali.
Senza tenere conto delle conseguenze
della dispersione abitativa ( cosiddetto sprawl ) un elevato consumo di suolo comporta
la sottrazione di terreni produttivi e naturali, l’erosione e perdita di
qualità del paesaggio, e la vulnerabilità e pericolosità del territorio con
conseguente incremento dei danni subiti e provocati.
Questi danni diventano ancora più
assurdi se si tiene conto che l’offerta di abitazioni risponde pienamente alle
esigenze della popolazione italiana che ha uno dei tassi di crescita
demografica più bassi al mondo.
La bulimia cementizia è una sindrome
che ha colpito tutto il territorio nazionale, ma se vogliamo guardare alla nostra piccola
situazione locale, non potrà essere sfuggito alle menti più critiche la
relazione che esiste tra lo spopolamento e la crescita di nuove costruzioni. In Italia esistono all’incirca 2 milioni e mezzo di case vuote, non so se esistano
dati precisi sul comune di Vico ma azzarderei a dire che la metà delle
abitazioni sono regolarmente inabitate.
Un economia dove ha un peso rilevante un
settore di servizio allo sviluppo, inevitabilmente soffre di spinte speculative
che si gonfieranno come bolle pronte a scoppiare da un momento all’altro.
Dalle regole che si adottano per delineare
l’uso del territorio si progetta anche il futuro economico dello stesso e la
qualità della vita di chi lo abita. Per questo motivo gli interventi sopratutto
quelli irreversibili come quelli edilizi non possono essere lasciate alle
aspirazioni personali o regolati in maniera superficiale e interessata.
La terra in questo senso, anche se di
proprietà (pubblica o privata che sia) assume rilevanza di bene comune in
quanto fondamento di un progetto comune infra e intra generazionale.
Le circostanze odierne ci dovrebbero
indurre a progettare lo sviluppo con punti di vista diversi dal tradizionale
pensiero economico. Come molti sostengono si dovrebbe ripartire proprio
dall’uso accurato dei beni comuni.
Questo non significa stronzare
l’edilizia così come i cosiddetti “piani casa”non incentivano un benessere di lunga durata.La
nostra nazione detiene il primato della produzione di cemento e di nuove
costruzioni tra i paesi europei , ma questo non ci ha impedito ad essere trai
Paesi che maggiormente stanno soffrendo la crisi.
L’Italia, cosa che stride assurdamente
con i dati precedente, è anche la nazione con un patrimonio paesaggistico enaturalistico tra i più affascinanti del pianeta, possiede suoli molto fertili
e condizioni ambientali che sono alla base di prodotti enogastronomici che tutto
il mondo ci invidia.
Insomma esistono ben altre risorse
strategiche su cui fondare lo sviluppo economico ma che sono bloccate dal
cemento. Noi garganici non siamo immuni dalla cattiva gestione, come ricorda Mauro
Baioni in un suo scritto del 2005 contenuto all’interno del libro NO SPRAWL, le aree costruite da Lesina a Vieste interessano “all'incirca 25 km di fronte mare su 44, ovverosia la quasi totalità della costa bassa garganica. Alcuni di questi insediamenti mostrano uno sviluppo lineare parossistico: Rodi-S. Barbara (3,2 km), S.Menaio (2,5 km), Vieste (6,8 km).”
Per frenare questa corsa suicida, alcune amministrazioni italiane hanno seguito le esperienze positive estere ed hanno adottato un piano regolatore «a crescita zero». Ovvero, un piano che non concede più costruzioni su terreno vergine, né permette di fare varianti per rendere un terreno agricolo edificabile. Si può costruire solo sull'esistente o sulle aree dismesse e si fanno eccezioni solo per le aziende situate nella zona industriale e che abbiano necessità di espandersi, perché questo giova al mercato del lavoro. Un ripensamento della progettazione territoriale è richiesta anche dal presidente dell'Ance (Associazione nazionale costruttori edili) Paolo Buzzetti che ha dichiarato che «Vi è bisogno di una visione strategica a medio-lungo termine dello sviluppo del territorio urbano», Buzzetti ha inoltre spiegato all’assemblea dei costruttori che «Occorrono nuovi meccanismi urbanistici che rendano possibili, anche da un punto di vista economico, le operazioni di riqualificazione urbana, gli interventi di demolizione e ricostruzione e di sostituzione. E considerata la scarsezza di risorse pubbliche devono, per forza, rinvenirsi processi virtuosi con il coinvolgimento dei privati». In pratica, è necessario «il passaggio da una cultura di espansione a una cultura di riqualificazione».
Questa cultura di riqualificazione ,
spero sia contenuta nel nuovo PUG (piano urbanistico generale) del nostro
comune, ma sinceramente è lecito anche pretendere che il suolo sia svincolato
dai vincoli di bilancio, che l’amministrazione( qualsiasi) si liberi dalla
facile tentazione degli oneri di urbanizzazione e che la progettazione del
territorio sia condivisa coi comuni limitrofi.
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