Tra le parole più usate in questo periodo, indiscutibilmente
“crisi” è quella tra le più citate. Nelle discussioni più frequenti,
difficilmente si riesce ad evitare questo termine. La crisi economica e
finanziaria che sta caratterizzando gli ultimi anni non si limita ad una mera
recessione produttiva ma è il segno di un cambiamento globale che imperversa
sulle nostre vite. Infatti in crisi non sono solo i conti pubblici, realtà che
sembrano lontane dal semplice vivere quotidiano, ma anche istituzioni sociali
radicate nel tempo come la famiglia o la Chiesa Cattolica. Più tangibile,
invece, è la crisi che colpisce il welfare state, il sistema educativo e i
cicli ambientali che regolano lo svolgere della vita sulla Terra.
Scritta in cinese la parola “crisi” è composta di due
caratteri. Una rappresenta il pericolo e l’altra rappresenta l’opportunità. Il
secondo aspetto è quello a noi sconosciuto. Il timore di provare, di
sperimentare e di affrontare nuove sfide soffoca l’opportunità di far emergere
quelle persone che con le proprie idee possono orientare il cambiamento, che se
guidato dai protagonisti e con le modalità del passato, inesorabilmente ci
faranno entrare nel circuito gattopardesco del “cambia tutto per non cambiare
mai nulla”.
Bisogna avere il coraggio di volere orientare il cambiamento
a seconda delle proprie passione. La crisi apre spazi in cui inserirsi in
quanto il disorientamento generale è in cerca di nuovi punti di riferimento, ma
troppo spesso ci si aggrappa a
consolidati principi per paura di poter sbagliare. Lo sbaglio più grande è
proprio quello di non credere nelle proprie idee e nelle proprie capacità.
Aspettare l’intervento salvifico del demiurgo di turno non fa altro che
sottomettere la libertà di iniziativa al fascino perverso del clientelismo. Il
cambiamento, anche quello positivo non è indolore. Ci costringe a rinunciare a
schemi a cui si era abituati, ma il persistere della crisi equivale a voler
rinunciare alle possibilità di miglioramento. La crisi da opportunità sta
diventando un alibi per rimanere immobili, per giustificare la propria
pigrizia, per mascherare le proprie mancanze.
Il cambiamento che si deve orientare ha dimensioni piccole o grandi e non sono da riscontare
solo negli altri, ma anche dentro ciascuno di noi. Senza scomodare la citazione
di Gandhi «tu devi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» , si può
affermare che non si può pretendere dagli altri quello che neanche noi siamo
disposti a fare. Questo criterio, a mio parere, in Italia è stato eluso con un
altro che prevedere la difesa degli interessi personali di tutti, siano appunto
piccoli o grandi, a danno di quelli della collettività. Essendo l’interesse di
quest’ultimo quello di tutti, per molte persone non è considerato come
interesse proprio. Ed ecco che la prima cosa da dover cambiare è quella
mentalità che non intende l’interesse di tutti come proprio.
La sfida più preoccupante non dovrebbe essere quella
monetaria o dell’economia internazionale, ma l’assenza di una visione capace di
interpretare i mutamenti in corso per costruire un futuro dove realizzare nuove
forme di benessere.
A volte dal livello locale, con piccole idee, si può dare
inizio a processi innovativi di lungo periodo.
Ci vuole molto coraggio a sostenere le proprie idee e molto spirito di
abnegazione nel realizzarle, soprattutto in posti dove l’immobilismo e la paura
del nuovo aleggia come uno spettro.
Forse che le parole di chi ha guardato il mondo con occhi
diversi e sguardo lungimirante, diventando di uno dei geni dell’umanità posso venirci in aiuto per rendere più
comprensibile la mia opinione:
«Non pretendiamo che
le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una
grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta
progressi.
La creatività nasce
dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge
l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé
stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e
disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle
soluzioni. La vera crisi è l'incompetenza. Il più grande inconveniente delle
persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai
propri problemi.
Senza crisi non ci
sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c'è
merito. E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti
i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e
tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta
per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare
per superarla.» (Albert Einstein)
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