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venerdì 8 maggio 2015

Fondata sul lavoro

"L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".
L'articolo 1 racchiude lo spirito degli ideali di tutta la costituzione.
I costituenti hanno discusso a lungo sulle fondamenta della nostra Repubblica e non a caso. 
La prima parte del primo comma ( il secondo comma recita "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione") dell'articolo 1 dichiara che l'Italia è una Repubblica democratica, e lo dice come prima cosa in assoluto. Quindi la Repubblica, la democrazia e l'Italia non sono scindibili, sono una in funzione dell'altra. Quindi mai più qualsiasi altra forma che non sia repubblicana e democratica. Mai più monarchie, mai più dittature.
La seconda parte, "fondata sul lavoro", può sembrare a molti una sintesi ideologica voluta dai padri costituenti comunisti, socialisti e popolari. Ad altri può sembrare una semplice speranza.
Invece ne è l'essenza della Costituzione e della nostra Repubblica.
può mai esistere un paese libero e democratico se i suoi cittadini non hanno l'opportunità di lavorare?
può mai esistere un paese libero e democratico se i doveri dei lavoratori si trasformano in ricatti e le tutele in privilegi?
può mai esistere un paese libero e democratico se i diritti dei lavoratori non sono sostanziali?
la famiglia, riconosciuta dall'Art 29 può essere creata e sostenuta se i componenti non hanno un lavoro e un lavoro che dia delle certezze?
i cittadini possono avere libertà di parola, di pensiero e di associarsi se sono senza lavoro o un lavoro precario?
può mai prosperare il benessere e la civiltà di una nazione se i migliori giovani sono costretti ad emigrare per lavorare, o peggio a pregare il solito notabile per un posto di lavoro?
I costituenti hanno fondato la Repubblica sul lavoro, come dice, non a caso, dopo lunghi mesi di discussione accettando la mediazione di Fanfani. Non hanno scelto di fondarla sui lavoratori perché aveva un'impronta troppo operaistica escludendo in questo modo i lavori dirigenziali e la schiera di cittadini che non lavorano.
Il lavoro è il diritto e il dovere che tutti dobbiamo pretendere, l'ambizione di ogni cittadino che lo rendere partecipe del destino della comunità, attraverso il proprio impegno.
Il lavoro è una livella, ci rende uguali perché ognuno svolgendo il proprio compito fa accrescere l'altro. Ogni cittadino che lavora con dedizione hanno pari dignità, senza nessuna distinzione di mansione.
La parola lavoro si riesce a trovare in ogni frase di quella poesia chiamata art 3 "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
Io non sono bravo con le parole ma spero di essere riuscito almeno in parte a far capire lo spirito della festa del Primo Maggio e dell'art 1 della nostra Costituzione. Questa spirito che non può scindere da quello del 25 Aprile e del 2 Giugno, giorno della Liberazione dal fascismo e della nascita della Repubblica.
Ebbene questo spirito è stato preso a picconate dalla solita politica clientelistica e da una serie di norme che in nome della flessibilità mai realizzata, sacrosanta in un mondo in continuo mutamento, ha reso il lavoro uno strumento di schiavitù invece che di libertà.

Ricattati dai contratti a termine, dagli orari impossibili, dalle paghe umilianti, anche il diritto allo sciopero diventa formale.
Fa ancora più rabbia vedere che sono stati proprio gli eredi di quei partiti che hanno voluto fondare la Repubblica sul lavoro, che con il Job Act e la recente riforma sulla scuola, solo per fare alcuni esempi, sono venuti meno al giuramento di rispettare e applicare la Costituzione e hanno reso la nostra Repubblica meno democratica.
Auguri a tutti gli eroi quotidiani che con la dignità e la dedizione del loro lavoro si sono messe sulle spalle il destino di questa nazione
e una preghiera a tutti quei lavoratori che hanno perso la vita sul lavoro.

c'è una bella e resistente Italia a cui dare voce


in tutto questo fango e confusione c'è un'Italia bellissima che in mezzo a questo buio è ancora più splendente.
è l'Italia dei Comuni Virtuosi, delle buone pratiche ambientali e sociali che sono realtà in ogni angolo della penisola, è l'Italia della creatività e dell'arte che fa spalancare gli occhi verso un grande orizzonte di bellezza, è l'Italia della coerenza che fa quello che dice, e quello che fa è molto meglio delle belle parole di certe persone che hanno l'arroganza di avere un'egemonia culturale che rimane solo teoria. è l'Italia che resiste alle trivelle e alle grandi opere capaci di distruggere un territorio solo per far arricchire poche persone.
Fuori da questo Parlamento c'è un grande spazio per costruire ancora un progetto e condividerlo con tutti anche con chi di sinistra non è mai stato solo perché non si è mai sentito rappresentato ma ora si sento schifato da tutti.
Per farlo deve dare voce all'Italia della bellezza e della resistenza, che voce non hanno, e far tacere quella di chi si riempie la bocca di parole solo per fare il fighetto o il sapiente.
Deve dare voce a chi vuole costruire un progetto e una strategia intorno a delle idee e allontanarsi da chi vuole distruggere in nome di idee che saranno subito messe in vendita quando si presenta una buona offerta.
Tutti pensano a Landini, a Civati e addirittura a Pisapia. Abbiamo bisogno anche di loro ma io penso ad altro. Non ne faccio una questione di età ma di freschezza e passione. Io penso a tanti giovani e amministratori locali che con le battaglie che stanno portando avanti la sinistra l'hanno già costruita ma hanno solo bisogno di incontrarsi per dargli sostanza e visibilità.
Se Tilt! e ACT si farebbero promotori di riunire queste persone che sono portatori di questa Italia bella e resistenze sarebbe una cosa sbagliata o non producente?

domenica 26 aprile 2015

Invasioni Digitali anche a Vico del Gargano il 3 Maggio

Per il secondo anni consecutivo l’iniziativa “Invasioni Digitali” torna sul Gargano e lo fa in grande diffondendosi su tutto il promontorio. Cosa sono le invasioni digitali? In pratica si tratta di visitare (invadere) dei luoghi d’interesse riportando l’esperienza live sui social network postando foto e commenti (fondamentale è utilizzare gli hashtag ‪#‎INVADIGARGANO‬ e ‪#‎INVASIONIDIGITALI‬); e lo si fa in gruppo, in modo da creare “rumore” online e quindi attenzione intorno alla località visitata. Ma è anche un’occasione per passare una mattinata primaverile di domenica tra i tesori del Gargano conoscendo e socializzando con nuove persone.
Più dettagliatamente le Invasioni Digitali sono un movimento di persone che supporta il patrimonio culturale “invadendolo” e documentando l’esperienza attraverso il web e i social media. Ogni invasione si prefigge l’obiettivo di creare nuove forme di conversazione e si basa sulla co-creazione e promozione di valore culturale attraverso la partecipazione attiva dei visitatori alla narrazione del patrimonio. Invasioni Digitali è caratterizzato da un approccio dal basso: le persone organizzano indipendentemente singoli eventi in tutto il paese in un periodo stabilito (quest’anno è dal 24 aprile al 3 maggio).
A differenza dello scorso anno, quando le località “invase” furono Vieste e Monte Sant’Angelo, l’associazione coordinatrice Gargano Eventi ha deciso di coinvolgere più partner e grazie alla collaborazione con Il Blog del Gargano Amara terra mia, Peschici Guida, Hotel Borgo Marina, al comune di Monte Sant’Angelo e Gargano Experience e con la collaborazione dei Digital Champions della provincia di Foggia domenica 3 maggio saranno invasi i seguenti siti:
Grotte Marine di Vieste
Centro Storico di Rodi Garganico
La Grotta degli Dei (loc.Manaccora) – Peschici
Lago di Varano
Monte Sant’Angelo
Manfredonia
Vico del Gargano
La partecipazione è gratuita e basta visitare il seguente link dove troverete programmi dettagliati e le modalità di iscrizione: https://www.facebook.com/events/858502300858742/

giovedì 11 dicembre 2014

Sciopero Generale del 12 dicembre. lettera ai più giovani

Cari tutti e tutte
dispiace non essere qui con voi fisicamente a questa manifestazione ma con queste mie parole non voglio far cadere nel vuoto la richiesta di partecipazione alla manifestazione di oggi che con entusiasmo Gaetano e Alessandro mi hanno rivolto.
 Il lavoro, che per fortuna oggi c’è mi tiene lontano da questa piazza, ma non è detto che non ci saranno occasioni di rivederci, perché l’auspicio è che la mobilitazione non termini oggi.
Molto spesso vi vedo incamminare verso il liceo e noto delle differenze con gli adolescenti del mio tempo, ma queste sono del tutto esteriori. Le condizioni sociali e prospettiche sono le stesse o anzi peggiorate e quindi l’alleanza tra lavoratori e studenti (i lavoratori del domani) deve essere più salda che mai.
Vi guardo è penso con rammarico che alla vostra età avrei dovuto usare meglio il cervello per studiare i modi per non farmi fregare dai parolai,
usare meglio le mani per imparare arti e mestieri che stupidamente vengono considerati poveri invece sono umili e ricchi,
usare gli occhi per guardare il futuro che è il posto in cui abito invece che guardare l’attimo che è già passato,
usare la voce con tono sicuro  per esprimere le mie sensazioni e malumori,
usare meglio il cuore per non avere paura dei miei sentimenti e timori.
A tutto si può rimediare tranne al tempo che passa, ma questo non vuol dire che non siamo in tempo di rimediare ai rimorsi e a correggere la rotta.
Perché il tempo è dalla nostra parte.
Abbiamo più diritto al futuro di altri ma questo vuol dire partecipare alla vita pubblica e quindi assumersi responsabilità. Può sembrare stupido farlo da ragazzi! Perché affaticarsi, lottare, arrabbiarsi, informarsi ora che  viviamo la spensierata età dell’adolescenza?
Invece i motivi sono tanti, inoltre assumersi delle responsabilità non è così fastidioso come sembra…se si è in tanti può essere una festa.
Chi vuole che nulla cambi o che le cose cambino per non cambiare mai soffre l’attivismo, i sorrisi sinceri e gli animi che non hanno nulla da perdere.
Noi siamo, tutti insieme, una generazione che non ha nulla da perdere. Crediamo che non convenga partecipare, che è meglio farsi gli affari propri perché altrimenti perdiamo quello che abbiamo. Ma non abbiamo niente. È tutto in mano ai soliti.
Non siamo neanche liberi in quanto parafrasando Gaber si è liberi solo se si partecipa.
Quello che non potranno mai avere è il nostro entusiasmo…però posseggono l’interruttore. Posso spegnerlo con secchiate di cinismo, con i sorrisetti infimi, le battutine ficcanti, o con la lingua velenosa. Diranno che siete dei buoni a nulla, buoni solo a perdere una giornata di scuola. Per qualcuno sicuramente è così ma sta sprecando una possibilità. La possibilità di stare insieme.
Insieme!!!
 Il significato di questa parola si perde tra selfie con la bocca a culo di gallina e milioni di messaggi inviati con whatsapp. Ci fanno credere che abbiamo il mondo a portata di click invece siamo soli davanti ad uno schermo.
Abbiamo bisogno di luoghi di aggregazione, di comunicare con gli occhi, di guardarci in faccia. Di creare.
Di fare qualcosa insieme. Di stare insieme. Con gli smartphone spenti. Insieme facciamo paura!
 Insieme si crea fermento. Ragazzi e ragazzi che creano dibattiti,si interrogano, portano esperienze da poter replicare di conseguenza creano fermento. Sono lievito.
Lievito per impastare del buon pane quotidiano al posto della merda di cui ci riempiono il cervello e assopiscono i nostri desideri.
Insieme smoviamo le acque della palude in cui i gattopardisti affogano le nostre speranze.
Con il precariato tutto è stato rinviato più in la con l’età. Lavoro, famiglia, figli, una casa propria. Ci vogliono rendere degli eterni bambini ( infondo tutti invidiamo i bambini) invece dobbiamo diventare grandi subito. È un’esigenza. Il tempo è dalla nostra parte ma non è per sempre.
Beffardamente sul cancello di Auschwitz i nazisti hanno messo la scritta “il lavoro rende liberi”. L’odierna dittatura del profitto trasforma gli esseri umani in pedine. Considera il lavoratore delle risorse definite umane così come i computer sono risorse meccaniche.
Ma i lavoratori sono uomini e donne che hanno bisogno del lavoro per essere liberi. Liberi di essere ciò che si desidera diventare. Liberi di essere semplicemente ciò che si è.
Con un lavoro precario tutto diventa precario, come l’amore. Anche i sentimenti diventano usa e getta.
Formare una famiglia diventa impossibile.
La politica invece di trovare delle soluzioni inventa formule magiche. Come gli 80 euro di Renzi.
Ma non saranno gli 80 euro promessi alle neo-mamme a risollevare il tasso di crescita delle nascite se dall’altro verso si continua a tagliare il finanziamento degli asili nido.

Le politiche dei bonus, dei voucher, sono in genere storicamente politiche liberali e/o emergenziali perché - al contrario del welfare universale - si rivolgono ad una certa platea e per un certo periodo, quando invece dovrebbero parlare a tutti. Contrastammo ferocemente il bonus bebè di Berlusconi (1000 euro l'anno, quindi la stessa cifra), e siamo stati molto critici su quello adottato dalla Fornero e dal Governo Letta, proprio perché avevano il grande limite di tagliare fuori una fetta consistente di beneficiari, di rappresentare una politica spot. In altri paesi d'Europa esistono sostegni alla genitorialità, ma sono universali, sono erogati in nazioni in cui si spende 5 volte di più che in Italia in servizi sociali, esiste il reddito minimo garantito e non si rivolgono certo alle "neomamme" (e i papà?) che guadagnano meno di 1500 euro lordi al mese. Anche perché sappiamo tutti che 80 euro al mese non cambiano la vita se l'idea è quella di farti decidere di procreare. Soprattutto, si parla di tagliare altri servizi come al solito?. E' bello andare da Barbara D'Urso a dire che regali soldi in giro (80 euro in busta paga, 80 euro alle neomamme, taglio la componente lavoro dell'IRAP, adotto meno prelievo sulle partite IVA svantaggiate, etc.) e poi lontano dai riflettori andare in conferenza Stato Regioni e dire che taglierai le borse di studio, i buoni libri di testo, i trasporti per i disabili, i trasferimenti sui trasporti pubblici e la coesione sociale, 4 miliardi di spesa corrente. Ma di che parliamo? Ti do 80 euro al mese per 3 anni per convincerti a procreare, ma il figlio che metti al mondo augurati che non abbia mai bisogno di cure mediche, di supporti educativi, di prendere un autobus in periferia, perché altrimenti sono cazzi suoi.



Poi hanno anche la faccia di dire che la famiglia è messa in pericolo dalle unione omosessuali. Io non riesco ancora a comprendere in che modo il matrimonio tra due maschi o due donne mi impedisca di formare una famiglia. Io non riesco a comprendere chi trova ancora il coraggio di mettere su famiglia, siano essi etero o omosessuali, e a loro va la mia stima e sostegno. Le politiche sociali, del lavoro e formative non si possono distinguere dai diritti civili e purtroppo l’ordinamento dello Stato italiano non riconosce ai suoi cittadini dei diritti legalizzando la disuguaglianza.

Per colpa dello Stato che non riconosce diritti o non pianifica politiche sociali, ci sono famiglie di serie A e di serie B, così come ci sono lavoratori di serie superiori e inferiori. Con l’abolizione dell’art 18, il presidente Renzi, come Berlusconi e Monti, vuole rendere i lavoratori tutti uguali: dei lavoratori di serie B. anzi di serie R, R come ricattabili.

Quando il premier e segretario del più grande partito socialista d’Europa – il PD renziano, aderisce al PSE – dice che “l’imprenditore deve poter licenziare” – come e quando vuole, aggiungo io – , “che la scelta di licenziare o no un lavoratore non deve essere nelle mani di un giudice”, sceglie chiaramente il campo in cui stare (che non è quello del lavoro) e riafferma dei capisaldi culturali antichi, che proprio la famiglia politica che dovrebbe rappresentare è riuscita in un secolo di storia e di lotta a rivoluzionare. C’è ormai una deriva inarrestabile che vede tutti i partiti di centrosinistra europei farsi sedurre dalle sirene del pensiero main-stream. Non voglio chiamarlo di destra. Preferisco definirlo pensiero unico, assoluto, dominante. Questo perché nell’Europa del 2014 molti dei governi sono di larghe intese, in cui le culture politiche un tempo contrapposte si confondono l’una con l’altra. Dove le differenze fra destra e sinistra non contano più e spesso si fa pure fatica a intravederle. Un pensiero che trova la sua rappresentazione più limpida nell’idea del pragmatismo come unica bussola per orientare le scelte, nel primato della tecnica sulla politica, nel piglio sfrontato e decisionista dei suoi leader. Determinanti che cambiano i rapporti politici nella società, in cui i capi delle fazioni prevalenti, a braccetto con la grande finanza, controllano progressivamente sempre di più tutti gli snodi delle decisioni politiche ed economiche che hanno pesantissime ricadute sociali sui “popoli sovrani”.
Cambiano e tornano ad essere quelli di un tempo poi i rapporti materiali, che si determinano nel solco della regressione di un modello che diviene oligarchico e semi-feudale in cui il lavoro è senza tutele, precarizzato a partire dal rapporto contrattuale, ricattabile in ogni momento e desinato a salari sempre più bassi. Tutto ciò avviene paradossalmente proprio nel momento di massima crisi del capitalismo. E se la politica davanti a questo passaggio epocale sembra essere muta e stordita, il capitale invece si difende e si ristruttura, aggredisce i diritti e riduce gli spazi di democrazia. E gli stessi soggetti che ci hanno trascinato nel baratro, oggi ci spiegano come uscirne perpetuando le stesse politiche. Non trovando sostanziali difficoltà e ostacoli nel farlo.
Prendiamo per esempio la questione dell’articolo 18. Un dibattito surreale, che trova la sua rappresentazione mediatica nello scontro Renzi-D’Alema/minoranza PD. E non è difficile immaginare chi vinca. Questo perché per vent’anni quelli che oggi si spellano le mani in difesa di questa tutela nello specifico, sono i primi che hanno contribuito all’istituzionalizzazione della precarietà. E la loro credibilità è dunque pari a zero. Oltre alla rappresentazione mediale, ad esser surreale è soprattutto nello specifico la questione politica di questo dibattito. Per i ragazzi della mia generazione – e non solo direi – l’articolo 18 rappresenta esclusivamente un istituto giuridico che ha un altissimo valore simbolico. Niente di più però. Questo non significa che non ci spenderemo nei mesi che verranno per difendere lo Statuto dei Lavoratori e tutto quello che significa. Anzi. Siamo i primi ad affermare che è molto più ideologico chi come Renzi e soci pone il tema dello smantellamento dell’articolo 18 rispetto a chi invece come noi lo vuole difendere con le unghie. E a dirlo non sono io, ma i dati. Il CNEL – non una pericolosissima organizzazione bolscevica – nel suo ultimo rapporto nazionale afferma che in Italia licenziare è più facile che in Germania e che il livello di liberalizzazione del mercato del lavoro negli ultimi 15 anni è stato il più sfrenato di Europa, con la sola eccezione di Atene. L’idea che a scoraggiare gli investitori stranieri sia l’eccessiva rigidità delle regole in materia di lavoro è quindi poco più che una leggenda. E allora quale è la logica che lega l’abolizione dell’articolo 18 alla possibilità di incrementare l’occupazione? Nessuna, ovviamente. La questione è esclusivamente ideologica, appunto.
Con la disoccupazione giovanile che sfonda la soglia del 44%, con quella generale oltre il 12%; con oltre 5 milioni di precari dove più di 1 giovane su 2 ha un lavoro atipico, con oltre 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano, la preoccupazione principale del governo Renzi è quella di cancellare quel maledetto articolo 18 che risolve appena qualche migliaio l’anno di controversie sul lavoro. Lungimirante, non c’è che dire. Vogliamo invece provare a parlare seriamente dei problemi di questo paese? Bisognerebbe smetterla di pensare che licenziando di più si crea posti di lavoro. È una mistificazione della realtà! Per creare occupazione ci vorrebbe una politica industriale seria, che manca. E ci vogliono soprattutto investimenti. Per sconfiggere la precarietà invece, non basta annunciare un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti se si lasciano intatte 46 forme contrattuali differenti. Bisogna fare di più. Iniziando per esempio a comprendere che oggi la precarietà non è solo una questione che riguarda il mercato del lavoro ma è purtroppo per milioni di persone una questione esistenziale. E quindi, una politica che si definisce tale, capace di abitare il nostro tempo, dovrebbe iniziare a preoccuparsi di come si possa garantire una vita dignitosa al di fuori del lavoro e una continuità di reddito nella giungla del lavoro a intermittenza. Ed è a partire da questi presupposti che la rete Tilt!, BIN e altri soggetti, lo scorso anno hanno sottoposto al parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare per l’introduzione di un reddito minimo garantito anche nel nostro paese.
Come avviene praticamente in tutta Europa. Per usare gli esempi fatti da Matteo Renzi, Marta e Giuseppe (due precari idealizzati) se fossero una coppia in Olanda percepirebbero 1.319 euro mensili e se Marta fosse single sempre in Olanda avrebbe un sussidio di base di 659 euro. Se Giuseppe vivesse in Belgio avrebbe un sussidio di 755 euro, se avesse un figlio a suoi carico percepirebbe 1.006 euro e un contributo per l’affitto. Se Marta vivesse in Francia avrebbe garantiti 467 euro e un contributo eventuale per l’affitto. Se Giuseppe vivesse in Inghilterra avrebbe 303 euro di reddito di base, 715 per la casa e 377 nel caso avesse un figlio a suo carico. Se Marta vivesse in Irlanda avrebbe invece un sussidio per l’alloggio dai 300 ai 450 euro mensili e in più, in caso di necessità, altri contributi per le utenze. Se Giuseppe infine vivesse in Austria avrebbe un sussidio dai 401 ai 512 euro mensili, con un figlio a carico dai 594 ai 746 euro. I Marta e i Giuseppe che vivono in Italia invece, si sentono dire che la colpa della situazione e dei loro genitori perché sono dei privilegiati solo perché hanno dei diritti. E che quindi l’unica soluzione è togliere ai padri per dare ai figli. Ma noi in questa guerra non ci vogliamo stare. Noi chiediamo una rivoluzione del welfare sui modelli virtuosi di quell’Europa che vogliamo conquistare. Vogliamo un welfare universale. I soldi? Ci sono. Pensiamo alla pioggia di miliardi che viene erogata per gli incentivi alle imprese che in 15 anni non hanno certo creato occupazione. Le imprese avrebbero bisogno di vedersi ridurre il costo del lavoro, non di incentivi. Pensiamo ai miliardi spesi per tenere in piedi un sistema di collocamento inefficiente e obsoleto, che serve esclusivamente per foraggiare i professionisti della formazione senza collocare nessuno. Dovremmo avere il coraggio di dire poi, che l’attuale sistema di ammortizzatori sociali deve essere rivisto completamente, perché così com’è protegge solo un piccolo segmento di società e lascia fuori tutto il resto.
Tagliamo seriamente i costi della politica e della burocrazia, non nella direzione di ridurre la democrazia ma gli sprechi. Tagliamo le spese militari e con tutti i soldi che risparmiamo finanziamo uno strumento davvero universale. Senza questi presupposti non esiste Job Act che tenga. Il conflitto sociale non è situato dove viene rappresentato quotidianamente dai mezzi di informazione o dai politici che ci governano. Sta dall’altra parte. Oggi, oltre alla parola insieme e fermento dobbiamo inserire nel nostro vocabolario la parola libertà. Libertà di formarsi. Libertà dal ricatto della precarietà.

Rimaniamo insieme, creiamo fermento, sentiamoci veramente liberi

Grazie a tutti e a tutte


giovedì 4 settembre 2014

A proposito del Gargano alluvionato..... questo scrissi nell'ottobre 2010 su Fuoriporta

Salviamo il paesaggio.
Il suolo è una risorsa vitale, rinnovabile solo a lungo termine, la cui corretta gestione è basilare per garantire il nostro benessere senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
Eppure troppo spesso il suolo viene trattato come un mezzo da sfruttare con una scarsa consapevolezza degli effetti derivanti dalla perdita delle sue funzioni.
Esplicativa in tal senso è la situazione urbanistica italiana. A partire principalmente dal secondo dopoguerra le aree urbane si sono espanse secondo criteri guidati spesso più da interessi particolari che da processi programmatici che tenessero in debita considerazione la vocazione naturale del territorio e dei suoli. Sono stati asportati, o modificati per sempre, suoli ad elevata fertilità e vocazione agricola( la quota di suolo agricolo che ogni anno viene destinata all'urbanizzazione è di oltre 100 Kmq all'anno, il che significa 30 ettari al giorno, 200 mq al minuto) in alcuni casi ubicati in aree ad elevata pericolosità geologica e idraulica.

L’urbanizzazione comporta la rimozione totale del suolo oppure un suo decorticamento e successiva copertura con materiali impermeabili come calcestruzzo, metallo, vetro, catrame e plastica, per la costruzione di edifici, strade o altri usi (Impermeabilizzazione del suolo o Soil Sealing; ). Il suolo è perso oppure non è più in grado di esplicare le sue funzioni (Consumo di suolo), in particolare viene impedita la sua capacità di regolare i flussi idrici con serie conseguenze sui fenomeni alluvionali.
Senza tenere conto delle conseguenze della dispersione abitativa ( cosidetto sprawl) un elevato consumo di suolo comporta la sottrazione di terreni produttivi e naturali, l’erosione e perdita di qualità del paesaggio, e la vulnerabilità e pericolosità del territorio con conseguente incremento dei danni subiti e provocati.
Questi danni diventano ancora più assurdi se si tiene conto che l’offerta di abitazioni risponde pienemente alle esigenze della popolazione italiana che ha uno dei tassi di crescita demografica più bassi al mondo.
La bulimia cementizia è una sindrome che ha colpito tutto il territorio nazionale, ma se  vogliamo guardare alla nostra piccola situazione locale, non potrà essere sfuggito alle menti più critiche la relazione che esiste tra lo spopolamento e la crescita di nuove costruzioni. In italia esistono all’incirca 2 milioni e mezzo di case vuote, non so se esistano dati precisi sul comune di Vico ma azzarderei a dire che la metà delle abitazioni sono regolarmente inabitate.
Un economia dove ha un peso rilevante un settore di servizio allo sviluppo, inevitabilmente soffre di spinte speculative che si gonfieranno come bolle pronte a scoppiare da un momento all’altro.
 Dalle regole che si adottano per delineare l’uso del territorio si progetta anche il futuro economico dello stesso e la qualità della vita di chi lo abita. Per questo motivo gli interventi sopratutto quelli irriversibili come quelli edilizi non possono essere lasciate alle aspirazioni personali o regolati in maniera superficiale e interassata.
La terra in questo senso, anche se di proprietà (pubblica o privata che sia) assume rilevanza di bene comune in quanto fondamento di un progetto comune infra e intra generazionale.
Le circostanze odierne ci dovrebbero indurre a progettare lo sviluppo con punti di vista diversi dal tradizionale pensiero economico. Come molti sostengono si dovrebbe ripartire proprio dall’uso accurato dei beni comuni.
Questo non significa stronzare l’edilizia così come i cosidetti “piani casa”non  incentivano un benessere di lunga durata.La nostra nazione detiene il primato della produzione di cemento e di nuove costruzioni tra i paesi europei , ma questo non ci ha impedito ad essere trai Paesi che maggiormente stanno soffrendo la crisi.
L’Italia, cosa che stride assurdamente con i dati precedente, è anche la nazione con un patrimonio paesaggistico e naturalistico tra i più affascinanti del pianeta, possiede suoli molto fertili e condizioni ambientali che sono alla base di prodotti enogastronomici che tutto il mondo ci invidia.
Insomma esistono ben altre risorse strategiche su cui fondare lo sviluppo economico ma che sono bloccate dal cemento. Noi garganici non siamo immuni dalla cattiva gestione, come ricorda Mauro Baioni in un suo scritto contenuto all’interno del libro NO SPRAWL, le aree costruite da Lesina a Vieste interessano “all'incirca 25 km di fronte mare su 44, ovverosia la quasi totalità della costa bassa garganica. Alcuni di questi insediamenti mostrano uno sviluppo lineare parossistico: Rodi-S. Barbara (3,2 km), S.Menaio (2,5 km), Vieste (6,8 km).”
Per frenare questa corsa suicida, alcune amministrazioni italiane hanno seguito le esperienze positive estere ed hanno adottato un piano regolatore «a crescita zero». Ovvero, un piano che non concede più costruzioni su terreno vergine, né permette di fare varianti per rendere un terreno agricolo edificabile. Si può costruire solo sull'esistente o sulle aree dismesse e si fanno eccezioni solo per le aziende situate nella zona industriale e che abbiano necessità di espandersi, perché questo giova al mercato del lavoro. Un ripensamento della progettazione territoriale è richiesta anche dal presidente dell'Ance (Associazione nazionale costruttori edili) Paolo Buzzetti che ha dichiarato che  «Vi è bisogno di una visione strategica a medio-lungo termine dello sviluppo del territorio urbano», Buzzetti ha inoltre spiegato all’assemblea dei costruttori che  «Occorrono nuovi meccanismi urbanistici che rendano possibili, anche da un punto di vista economico, le operazioni di riqualificazione urbana, gli interventi di demolizione e ricostruzione e di sostituzione. E considerata la scarsezza di risorse pubbliche devono, per forza, rinvenirsi processi virtuosi con il coinvolgimento dei privati». In pratica, è necessario «il passaggio da una cultura di espansione a una cultura di riqualificazione».

Questa cultura di riqualificazione , spero sia contenuta nel nuovo PUG (piano urbanistico generale) del nostro comune, ma sinceramente è lecito anche pretendere che il suolo sia svincolato dai vincoli di bilancio, che l’amministrazione( qualsiasi) si liberi dalla facile tentazione degli oneri di urbanizzazione e che la progettazione del territorio sia condivisa coi comuni limitrofi.

sabato 2 agosto 2014

Vico del Gargano partecipa a Wiki Loves Monuments

FOTOGRAFI, aspiranti o presunti tali
esseri viventi con i pollici opponibili in grado di premere un bottone.
amanti, amatori e amatoriali anche fugaci della fotografia
popolo di Vico, vichesi emigrati, di origine, mezzo sangue, di adozione oppure momentanei
smanettoni di smartphone e instagramers per passione
è il vostro momento.
ho inviato l'autorizzazione (e ringrazio chi me l'ha concessa) di tutti (quasi tutti e non ringrazio chi non me l'ha concessa) i monumenti di Vico del Gargano per partecipare a Wiki Loves Monuments Italia
fate tante foto, fra un mese, potete caricarle e partecipare al concorso.
www.wikilovesmonuments.it





martedì 29 luglio 2014

Casting per fiction a Vico del Gargano

OZ Film,per la fiction tv Rai Uno in 6 puntate dal titolo provvisorio “Questo è il mio paese – La scelta di Anna”, regia di Michele Soavi prod. Cross Productions cerca per vari ruoli, anche importanti:

- Ragazze e ragazzi 18 anni circa – Compagni scuola Chiara
(e specificamente: Cosimo – età 16/20 – carismatico, giovanissimo erede temuto e rispettato del clan dei Malorni. )
- Ragazze e ragazzi 14 anni – Compagni scuola Nino
- Assunta Malorni – donna mediterranea 40/50 anni intensa, drammatica
- Giannino Cafuero – anziano boss, 75 anni circa, fisicamente provato ma grande autorevolezza
- Isolina Cafuero – donna anziana, 75 anni circa, semplice, gentile
- Madre Corrado – donna 70 anni circa molto distinta
- Maala – giovane ragazza indiana 20 anni circa
- Gruppo di giovani uomini africani neri (raccoglitori arance)
(e specificamente: Said – ragazzo africano (nero) 25 anni circa, alto forte )
- Yaba – ragazza giovane bella africana (nera) 20/25 anni
-Varie figure maschili e femminili, di varie età (20-60), per piccoli ruoli di Professionisti, genitori, professori, Carabinieri, Assistenti sociali, infermieri, etc.

I casting si svolgeranno il giorno 5 agosto 2014 dalle 17.00 e i giorni 6 e 7 agosto dalle 10.00 in poi a Vico del Gargano (Fg),in via Aldo Moro num 2 c/o ufficio sanitario,accanto alla palestra comunale. Bisogna presentarsi muniti di fotocopia di carta d’identita’ e di codice fiscale e una foto primo piano.

Le riprese saranno effettuate a Vico del Gargano. Nel frattempo inviare email con i propri dati (nome,cognome,età,residenza e numero di telefono) e una foto primo piano e una intera a giusy.marrone88@gmail.com

I candidati che non risponderanno ai requisiti sopra elencati non saranno ammessi al casting.